lunedì 28 luglio 2014

Il cercatore d'oro - Velvet Underground - The Velvet Underground And Nico

Che poi passare per paraculo, ruffiano, intellettuale malleabile è inevitabile. E’ più che ovvio che se ti piacciono i Velvet Underground e li elogi, o ne riconosci lo status di iniziatori o meglio sublimatori dell’intera musica rock sei costretto a subirti storte di naso, qualche onomatopea di dissenso o, peggio, il completo disinteresse generale. Come dare torto ad eventuali detrattori? Non sono né il primo né sarò l’ultimo né sono il più pronto a tuffarmi in una recensione simile ma ritengo oggettivamente, per quanto questo termine possa avere un qualche valore al giorno d’oggi, che il disco che vado a recensire oggi, dopo mesi d’inattività dovuti ad impegni scolastici ( La mia età è un altro criterio che renderà questo mio lavoro alquanto discutibile ) e lavorativi ( Includo anche giornate intere passate ad ascoltare dischi storici e non ), sia il disco, se non il più bello, il più importante ed influente di sempre.
Come sono giunto a questa considerazione, peraltro abbastanza abusata? Ebbene, se si considera praticamente ogni corrente, movimento, circolo o genere artistico della storia dell’umanità, si nota, in maniera decisamente superficiale, che ha un inizio ed una fine. Ma questo determina che tra queste due fasi ci sia uno sviluppo dalla durata indefinibile. Ci sono movimenti che possono nascere rapidamente e spegnersi altrettanto in fretta e correnti che possono riempire lo spazio di secoli. Tutte hanno però in comune un punto massimo che coincide, allo stesso tempo, con il declino dello stesso. Se si pensa per esempio a Jean – Jacques Rousseau che rappresentò il culmine del romanticismo europeo ma allo stesso tempo ne determinò la crisi, ponendo alla luce le sue stesse contraddizioni. Questo perchè i geni e gli innovatori non sono classificabili o identificabili, quindi distruggibili, ma hanno un proprio libero ed inalienabile pensiero in qualche misura influenzato, ma non adattato, al momento storico nel quale operano. Questo è però un discorso che nulla ha a che vedere con la musica Rock ( Dove per Rock intendo, in senso più ampio, la musica moderna ). Con i Velvet Underground da New York, la musica Rock è diventata adulta, ha superato sé stessa pur attraverso i propri stessi limiti ( Ritmo standard in 4/4, tre accordi ). Essi hanno invece portato la maturità intellettuale, attraverso una rivoluzione della lirica, l’introduzione di strumenti atipici per il rock, spunti avanguardisti ( John Cale ) e soprattutto il concetto di ‘’ rumore come musica ‘’. Non che non lo avessero già fatto gruppi come Red Crayola, che erano però più dediti a un caos sonoro anarchico. I Velvet danno invece un senso al loro rumore, alla loro cacofonia, quasi come diventasse eufonia disorganizzata. Semplicemente partendo da un Rock ‘ N ‘ Roll scialbo, scarno e senza fronzoli essi architettano su di esso, sulla ripetizione ossessiva, lo smantellamento del suono, delle certezze musicali dell’epoca. Evitando di introdurre tutti gli scontatissimi riferimenti all’ idea di ‘’ musica metropolitana ‘’ o di alienazione, si può affermare che Lou Reed e soci hanno toccato una vetta che il Rock non ha mai più potuto raggiungere. Da quel momento in poi, non bisognerebbe più usare il termine Rock poiché superato. Il Rock è morto perché nessuno ha superato la valenza artistica del loro lavoro. Ma nonostante ciò, nonostante il Rock sia stato superato, esso vive ancora ed è vivo tutt’ora ed il genere è riuscito a sfornare dischi che ascoltiamo, compriamo, elogiamo, molto meglio dettagliati e suonati ma mai innovativi come questo. In un certo si può dire che l’unico album Rock che vale la pena sentire sia proprio The Velvet Underground And Nico. O meglio, questo è l’ultimo album Rock da ascoltare. Dopodichè, si può smantellare baracca e burattini ed ascoltare altro. Quando iniziamo ad ascoltare questo album, abbiamo la sensazione innata di essere innanzi ad un capolavoro Ma andiamo con ordine. Dato che ho già utilizzato quest’impostazione in passato, vedrò di adoperarla anche per questo capolavoro della musica tutta.


PREMESSA GENERALE:

Da cosa nasce? Molteplici influenze. Lou Reed poeta maledetto, eroinomane e nichilista per eccellenza che si prodiga nell’eliminare l’insensatezza delle liriche Rock anni ’60, portando una ventata di decadentismo mai vista prima. John Cale musicista d’avanguardia e Re Mida del Rock, poiché capace, grazie ad un senso per il capolavoro, di trasformare in frutto di genio ogni opera musicale. Maureen Tucker, batterista grezza ma vera artefice dei cosiddetti ‘’ baccanali ‘’. Sterling Morrison abile chitarrista e veneratore del feedback. Nico, cantante tedesca, pupilla di Andy Warhol ( Autore della famosissima copertina con la banana ), dalla voce immensa che spezza i deliri ossessivi dei quattro con il suo onirismo. 

THE VELVET UNDERGORUND AND NICO

SUNDAY MORNING: Forse il più conosciuto, benché il meno rappresentativo, tra i loro pezzi. Sorta di ninna – nanna elettrica, supportata dalla voce androgina e sognante di Reed nei panni del diavolo tentatore ( La canzone era in realtà destinata all’interpretazione di Nico ). Dolce, sfuggevole, ipnotica grazie al sapiente uso dei metallofoni. Non un preludio al disco, ma gemma della musica. VOTO 9

I’M WAITING FOR MY MAN: A mio parere, secondo pezzo più bello dell’intera opera. Il più trascinante sicuramente. Quattro minuti ed oltre in soli due accordi a sdoganare l’intera arte della composizione e dando di fatto il via al Punk ( Questo senz’altro ). Testo Beat e elucubrazioni del basso che incantano. Sulla via del Punk. VOTO 10

FEMME FATALE: Nico che canta sé stessa. Non è nei pezzi con la cantante teutonica che esce la vera anima dei Velvet, più cani sciolti che intimisti, ma la qualità e l’originalità ( Sempre di pari passo nelle loro produzioni ) sono ammirevoli. Ritornello condito dai cori che quasi senza forza sembrano simboleggiare un canto di uomini demonizzati dalla donna maledetta. VOTO 8,5

VENUS IN FURS: Spesso chiamato il madrigale psichedelico. Troppe parole sono state spese su questa canzone. Irripetibile. Fulminante. Stordente. Qui ci sono tutti i Velvet Underground. Lou Reed il diavolo che corrompe, e la sua schiera di anime perdute in una melodia persa in un decadentismo dalle tinte indiane, di rara bellezza e di specie ignota. Non solo capolavoro, ma a mio parere, il più grande brano della storia della musica. VOTO 10 +

RUN RUN RUN: Sound beat, facile Rock ‘N’ Roll che perde sé stesso nell’improvvisazione d’avanguardia, nel rumore che si finge suono e modella tutto. VOTO 7,5

ALL TOMORROW’S PARTIES: Nico diventa la mastra di cerimonia del baccanale, del sabbah demoniaco. La ripetizione e la nevrosi dei Velvet Underground si evolve nell’apocalisse. Un ritmo tribale, una voce da sacerdotessa, gli adepti intenti alla perdizione. Camera della perdizione. VOTO 9

HEROIN: Confessione allucinata e lucida del poeta Reed, trasposizione in musica della follia del mondo e della follia della droga. Il rumore impera e il mondo non è altro che un grosso organismo pulsante nel quale l’uomo è impotente. Indescrivibile. VOTO 10

THERE SHE GOES AGAIN: Punto più ‘’ basso dell’album ‘’. Un semplice brano Beat o un divertissement rispetto al resto. VOTO 7,5

I’LL BE YOUR MIRROR: La sacralità del canto della tedesca nel suo auge mistico. Nico rapisce il cuore dell’ascoltatore anche grazie all’approccio dell’amico Cale che confeziona qui, uno dei suoi innumerevoli capolavori. Da lasciarci le penne. VOTO 9,5

THE BLACK ANGEL’S DEATH SONG: La borghesia ammantata, distrutta, devastata e qui che comincia l’enorme preludio a quello che sarà il vero atto finale della musica dei Velvet: White Light/White Heat VOTO 9

EUROPEAN SON: Lou Reed dedica questo brano al maestro Delonte Scwartz. Cacofonia non pretenziosa che s’imbastisce su un ritmo Beat, come un altro. Il compito di rendere il rock avanguardista è riuscito. Non si riesce a riconoscere più alcuno strumento. Tutto è paccottiglia di suoni, magma viscoso di strumenti che s’intrecciano senza una vera disposizione né un vero fine. La musica sembra vivere, non è più semplicemente suonata. Lo strumento parla senza avere lo specifico fine di eseguire il brano e spegnersi nel nulla. Tutti i loro brani diventano frammenti di una realtà, fotomontaggi del nulla esistenziale. Nessun fil rouge, nessun leitmotiv, il tutto è lasciato al caso, alla disorganizzazione, al brutto che diventa bello, al rumore che diventa arte, alla distruzione dell’arte che diventa essa stessa arte come lo fu per i dadaisti. Imennsa. VOTO 10

CONCLUSIONE: Mi sono dilungato troppo. Di certo non v’è innovazione nella musica che non provenga dal gruppo più influente della storia della musica. 

Il cercatore d’oro

MLV

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